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Guida al Code Refactoring: tecniche, strumenti AI e strategie 

Scritto da SparkFabrik Team | Dec 10, 2025 8:00:00 AM

Nel ciclo di vita del software, arriva sempre il momento in cui il codice ha bisogno di una revisione. Può succedere, ad esempio, che durante la crescita del progetto siano state adottate soluzioni provvisorie da sistemare, o che il tempo e le modifiche abbiano reso il codice troppo complesso. In questi casi entra in gioco il code refactoring: una pratica spesso sottovalutata, ma fondamentale per mantenere le applicazioni efficienti, di qualità e sostenibili nel tempo. 

Cos’è il code refactoring e perché è una leva strategica per il business 

Il code refactoring è il processo di ristrutturazione del codice sorgente esistente, senza modificarne il comportamento esterno. Non si tratta quindi di correggere bug, come avviene nel debugging, né di introdurre nuove funzionalità: il suo obiettivo è migliorare la qualità interna del software, rendendolo più semplice da comprendere, testare ed evolvere nel tempo. In altre parole, è un investimento nella salute del codice, non un intervento cosmetico. 

L’impatto reale del refactoring emerge quando lo si osserva come una leva strategica per il business. Ogni applicazione accumula nel tempo debito tecnico (quelle necessarie scelte rapide o soluzioni temporanee che, se non gestite, a un certo punto iniziano a rallentare lo sviluppo). Attraverso un refactoring sistematico, questo debito viene ridotto, liberando risorse e tempo per concentrarsi sull’innovazione. 

Un codice più pulito e coerente consente ai team di lavorare con maggiore velocità e sicurezza, favorendo l’agilità organizzativa, e cioè la capacità di rispondere rapidamente a nuove esigenze del mercato o dei clienti. Inoltre, un codice chiaro e facilmente comprensibile si traduce in una riduzione dei rischi di regressione (ovvero, il rischio che modifiche al codice danneggino altre funzionalità o introducano nuovi bug) e in una riduzione del lead time su ciascuna nuova release. 

Ma il refactoring, come approfondiremo nel seguito dell’articolo, non è solo una pratica tecnica, è anche un elemento chiave nel mantenere le attività di sviluppo sostenibili e rapide, in situazioni dove la qualità del codice diventa un acceleratore di crescita, e non, come a volte accade, un ostacolo. 

Le principali tecniche di refactoring: un approccio pratico 

Fare refactoring non è un’attività one-shot ma bensì una serie di interventi mirati e sistematici che permettono, nel tempo, di semplificare la complessità della codebase e renderla più facilmente evolvibile nel tempo. 

Una delle tecniche più diffuse è il Composing Method, che consiste nel suddividere funzioni o metodi troppo lunghi in blocchi più piccoli e leggibili. Facciamo un esempio. Immaginiamo una funzione che, nel contesto di un’applicazione e-commerce, si occupa di calcolare il prezzo complessivo di un ordine: applica eventuali sconti, aggiunge le tasse e alla fine restituisce un report. Se tutte queste operazioni sono racchiuse in un’unica funzione lunga e complessa, capire il ruolo di ciascun passaggio diventa difficile sia per chi scrive il codice sia per chi dovrà modificarlo o testarlo in futuro. Attraverso il refactoring, ogni operazione diventa una funzione distinta, con un nome chiaro e una responsabilità precisa. Il risultato è un codice più lineare, più chiaro e più facilmente isolabile per un eventuale unit test. 

Un’altra tecnica essenziale è la semplificazione delle condizioni, che mira a rendere più leggibili le logiche decisionali. Espressioni annidate come “se X è vero e Y è falso o Z è nullo” non solo rallentano la lettura, ma aumentano le probabilità di errori. Il refactoring in questo caso porta a introdurre variabili intermedie con nomi esplicativi, o a sostituire condizioni complesse con metodi che esprimano chiaramente l’intenzione: “isEligibleForDiscount” è molto più immediato di una lunga catena di operatori logici. 

Infine, con l’Abstract Refactoring si interviene su elementi duplicati o concetti comuni distribuiti nel codice, estraendoli in una classe o funzione riutilizzabile. Ad esempio, se diverse parti dell’applicazione calcolano in modo simile una commissione o validano un input, creare un’astrazione condivisa riduce la ridondanza e semplifica la manutenzione futura. Ogni modifica diventa così centralizzata e coerente in tutto il sistema, rafforzando la stabilità complessiva dell’applicazione. 

Come fare refactoring con l’AI: una guida a GitHub Copilot 

L’intelligenza artificiale sta diventando un alleato prezioso anche nel code refactoring, e tra gli strumenti più efficaci c’è senza dubbio GitHub Copilot: un assistente che interpreta il contesto del codice e proporre riscritture più pulite, efficienti o idiomatiche. Utilizzato con metodo, Copilot può accelerare notevolmente il lavoro di manutenzione e miglioramento del software.  

Conosci già questo strumento? Che la risposta sia sì o no, ti suggeriamo di approfondire con il workshop:  So you think you know Copilot? 

Ma come si integra concretamente Copilot nel processo di refactoring? Il primo passo consiste nel capire il codice esistente, sfruttando i comandi di Copilot Chat come /explain. Questa funzione genera una spiegazione testuale di ciò che fa un blocco di codice, chiarendo intenti, dipendenze e potenziali punti critici. È un modo rapido per orientarsi in porzioni di codice complesse o poco documentate, prima di intervenire. Puoi anche chiedere di aggiungere commenti al codice per renderlo più chiaro anche in future riletture. 

Una volta acquisita la comprensione necessaria, è possibile chiedere suggerimenti generici di miglioramento, ad esempio con prompt come “Come posso rendere questo metodo più leggibile?” oppure “C’è un modo più efficiente per gestire questa logica?”. Copilot proporrà alternative che rispettano la semantica del codice originale, ma ne semplificano la struttura o ne migliorano la performance. 

Infine, il vero valore emerge quando si passa a istruzioni di refactoring mirate. Si può chiedere esplicitamente “Riorganizza questo codice applicando il pattern Composing Method” o “Estrai la logica di validazione in una funzione separata”. Copilot genererà una versione rifattorizzata coerente con la richiesta, mantenendo intatto il comportamento del software. 

È fondamentale però ricordare che Copilot è un assistente intelligente, non un sostituto umano. Le proposte vanno sempre riviste, comprese e validate dal team di sviluppo. Il giudizio esperto del programmatore resta il punto di equilibrio tra automazione e qualità. Perché, a ben vedere, ogni refactoring non deve solo essere tecnicamente corretto, deve anche rispettare l’architettura e gli obiettivi di business.  

A proposito di intelligenza artificiale, hai già scaricato il nostro white paper? 


Refactoring agentico: Claude Code e il Model Context Protocol (MCP) 

Nel White Paper trovi tutto il potenziale degli agenti AI, e sì, riguarda anche il refactoring. Il refactoring agentico rappresenta infatti la nuova frontiera nell’evoluzione dello sviluppo assistito dall’intelligenza artificiale.  

Lo dimostra l’evoluzione di strumenti come lo stesso GitHub Copilot, che oggi non si limita più a suggerire miglioramenti o frammenti di codice, ma oggi integra diverse modalità di interazione graduate in base alla complessità del compito (trovi tutto nel nostro Workshop su Copilot). In particolare,  se la modalità Ask è perfetta per fare brainstorming senza alterare il codice e la Edit consente modifiche mirate ai file aperti sotto supervisione, è con la modalità Agent che si cambia davvero passo.  

I sistemi agentici infatti agiscono direttamente sul codice, operano in autonomia su più file ed invocano in autonomia tool esterni per raggiungere l’obiettivo, comprendendone il contesto, le dipendenze e la struttura globale del progetto. L’AI non è più soltanto un suggeritore, ma un collaboratore attivo che può eseguire trasformazioni complesse in modo autonomo e controllato. 

In questo scenario si inserisce Claude Code, uno degli strumenti più avanzati oggi disponibili per il coding ed il refactoring agentico. Basato su un modello linguistico di nuova generazione e integrato con il Model Context Protocol (MCP), Claude Code è in grado di accedere in modo semantico all’intero codebase di un progetto. Grazie a MCP, l’agente comprende realmente il contesto applicativo: sa come le diverse parti del software si collegano tra loro, quali moduli dipendono da altri e dove intervenire senza compromettere la stabilità del sistema. Questo rende possibili refactoring profondi - come la riorganizzazione di interi componenti o la sostituzione di pattern architetturali - mantenendo sicurezza e coerenza del codice. 

Come ha sottolineato Enrico Zimuel nel nostro evento Talk on my machine: GenAI  x business: la capacità delle AI di comprendere il codice scritto da altri sviluppatori (e di spiegarlo ad altri developers) è il primo passo cruciale verso una collaborazione realmente efficace tra uomo e macchina. Il refactoring agentico nasce proprio da questa comprensione profonda: non più un insieme di suggerimenti puntuali, ma un processo intelligente che interpreta l’intento del team e lo traduce in azioni concrete sul codice, accelerando il ciclo di sviluppo e aumentando la qualità complessiva del software. 

Quando fare refactoring (e, soprattutto, quando evitarlo) 

Capire quando fare refactoring è tanto importante quanto saperlo eseguire. Non ogni momento è adatto, e intervenire nel modo sbagliato può trasformare una buona intenzione in un rischio per la stabilità del progetto. Pensare al refactoring come a una forma di manutenzione preventiva aiuta a inserirlo nel ciclo di sviluppo con criterio, evitando derive perfezionistiche o sprechi di tempo. 

Quando farlo: il momento ideale è prima di aggiungere nuove feature, soprattutto se queste devono integrarsi con codice datato o poco leggibile. Rifattorizzare in questa fase permette di costruire su basi solide, riducendo la probabilità di introdurre bug. Anche dopo il lancio di un progetto è un’ottima occasione: una volta che il software è in produzione, il team ha una visione più chiara delle aree problematiche e può ottimizzarle in modo mirato. Un altro caso frequente è quando un modulo diventa eccessivamente complesso o difficile da mantenere; in questo scenario, il refactoring serve a restituire linearità e a favorire la collaborazione tra team. 

Quando evitarlo: il refactoring non va affrontato sotto pressione di scadenze ravvicinate. In quei casi, l’obiettivo deve restare la consegna del valore funzionale, non la perfezione del codice. È sconsigliato anche su software obsoleto o destinato alla dismissione: migliorare qualcosa che presto verrà abbandonato significa investire tempo senza ritorno. Infine, non andrebbe mai avviato se il codice non è coperto da test: senza una rete di sicurezza, ogni modifica rischia di introdurre regressioni difficili da rilevare. 

Un buon criterio, in definitiva, è considerare il refactoring come un investimento misurabile: va eseguito quando i benefici in termini di stabilità, velocità di sviluppo o riduzione del debito tecnico superano chiaramente il costo dell’intervento. 

Dal refactoring all’app modernization: la nostra strategia (le 5 R) 

Il refactoring non è solo una pratica di pulizia del codice, ma una delle leve centrali di un percorso più ampio: l’Application Modernization. Parliamo del percorso strategico che permette di evolvere le architetture IT verso maggiore efficienza, scalabilità e innovazione. (Se vuoi approfondire questo processo, leggi l’approfondimento Application modernization: cos’è e quali sono i vantaggi). 

Quando un’organizzazione decide di evolvere il proprio ecosistema digitale, non si limita a ottimizzare ciò che già esiste: definisce una strategia complessiva per rendere le applicazioni più agili, scalabili e pronte al cambiamento. In questo contesto, il refactoring diventa il punto di equilibrio tra la conservazione del valore esistente e la spinta verso l’innovazione. 

Tra le strategie di modernizzazione, c’è anche il replatforming, spesso la scelta ideale per chi vuole migrare dalle applicazioni legacy a una nuova piattaforma cloud, senza dover riscrivere da zero tutto il software. Per approfondire: Replatforming: dalle legacy a un nuovo ecosistema cloud (+ esempi) 

In materia di app modernization, in SparkFabrik adottiamo un approccio strutturato basato sul framework delle 5 R: RehostingRefactoring, RearchitectingRebuilding e Replacing. Ogni “R” rappresenta un diverso livello di intervento, dal semplice spostamento dell’applicazione su un’infrastruttura cloud fino alla sua completa ricostruzione. Il refactoring, in particolare, occupa una posizione intermedia: consente di migliorare l’architettura e il codice senza stravolgere il funzionamento complessivo del sistema, rendendolo più manutenibile, performante e pronto per ulteriori evoluzioni e per l’ottimizzazione per il cloud. 

In questo senso, il refactoring è spesso il primo passo concreto verso la modernizzazione, quello che prepara il terreno a iniziative più profonde come la containerizzazione o la transizione verso un’architettura a microservizi. È la fase in cui si semina la qualità che permetterà alle successive trasformazioni di attecchire in modo stabile e duraturo. 

Per approfondire il nostro approccio e scoprire come le 5 R guidano le strategie di modernizzazione in SparkFabrik, visita la pagina dedicata al servizio di Application Modernization. 

Ridurre il debito tecnico: un beneficio misurabile del refactoring 

Abbiamo già citato il debito tecnico, che poi è l’equivalente informatico di un prestito a tasso variabile: consente di guadagnare velocità nel breve periodo, ma genera interessi che diventano sempre più pesanti nel tempo. Ogni scorciatoia presa nello sviluppo (una logica duplicata, una dipendenza non aggiornata, una struttura poco scalabile) si accumula fino a rallentare il ritmo di innovazione e ad aumentare i costi di manutenzione. I team si trovano a dedicare più tempo a comprendere e correggere il codice che a sviluppare nuove funzionalità, con un impatto diretto sulla produttività e sul time-to-market. 

Il refactoring è il principale strumento per ridurre questo debito in modo sistematico e sostenibile. Migliorando la qualità interna del software, ne aumenta la leggibilità e la coerenza, riducendo gli errori e semplificando l’evoluzione futura. In termini di business, significa abbattere i costi occulti dello sviluppo (quelli legati alla complessità e alla lentezza) e restituire al team la capacità di innovare rapidamente. È un investimento che non produce valore immediato, ma costruisce le fondamenta per una crescita tecnologica e organizzativa più solida nel lungo periodo. 

Scegliere il partner giusto per la tua trasformazione applicativa 

Modernizzare le applicazioni non significa solo aggiornare la tecnologia, ma realizzare una trasformazione strategica che allinei il patrimonio digitale della tua azienda agli obiettivi di business, rendendolo più flessibile, scalabile e pronto alle sfide future. Affrontare questa transizione richiede competenze specialistiche e, soprattutto, serve una visione d’insieme che sappia unire architetture cloud-native, pratiche DevOps, automazione dei processi e strategie di design modulari e API-first. 

In SparkFabrik lavoriamo con un approccio strutturato, guidato dalle best practice della modernizzazione applicativa e dalla nostra esperienza in materia. Seguiamo ogni fase del percorso: dal rehosting fino all’adozione di microservizi, integrazione dell’intelligenza artificiale e redesign UX/UI. L’obiettivo? Trasformare le applicazioni legacy così che rispondano davvero alle esigenze del business. 

Vuoi vedere come questo approccio possa fare la differenza anche nella tua azienda? Esplora i nostri servizi di application modernization oppure scrivici: a volte un punto di vista nuovo cambia la direzione del progetto.