Immagina un'azienda che sviluppa un'app per gestire le prenotazioni di ristoranti. In un'architettura tradizionale, potrebbe ospitare l'applicazione su un server fisico, il che significa che un picco di utenti durante il weekend potrebbe mandare tutto offline. Un'applicazione Cloud Native, invece, sfrutterebbe un'infrastruttura elastica: ogni microservizio, ad esempio uno dedicato alle notifiche o un altro alla gestione dei pagamenti, può essere scalato indipendentemente in base al carico. Così, se un venerdì sera i clienti aumentano improvvisamente, il sistema può allocare più risorse in tempo reale, senza interventi manuali.
Questo è solo un esempio dei benefici concreti che l’approccio Cloud Native è in grado di offrire alle aziende che operano nel digitale.
Di cosa parleremo in questo approfondimento?
- Che cosa significa Cloud Native?
- Come funziona un’architettura Cloud Native?
- Perché adottare il Cloud Native?
- Differenza tra cloud e Cloud Native
- Quali sono i principali strumenti per un ecosistema Cloud Native?
- Quali sono i benefici dei microservizi in un ambiente Cloud Native?
- Come DevOps supporta il Cloud Native?
- Cos’è il serverless computing nel contesto Cloud Native?
- Quali sono le sfide di sicurezza nel Cloud Native?
Che cosa significa Cloud Native?
Cloud Native è un approccio allo sviluppo e alla gestione delle applicazioni progettato per sfruttare appieno l'ambiente del cloud, sia pubblico che privato. Non si tratta solo di "spostare" le applicazioni tradizionali su un'infrastruttura remota, ma di costruirle in modo che siano intrinsecamente scalabili, resilienti e capaci di adattarsi rapidamente ai cambiamenti. Questo paradigma si basa su concetti chiave come l'uso di microservizi, il deployment tramite container come Docker e l'orchestrazione automatizzata.
La vera forza del Cloud Native risiede nella sua capacità di ridurre i tempi di sviluppo e migliorare l'agilità del business. Netflix è spesso citato come esempio emblematico: grazie a un'infrastruttura interamente Cloud Native, riesce a introdurre centinaia di aggiornamenti al giorno, garantendo al contempo un'esperienza utente impeccabile per milioni di persone. Questo livello di innovazione sarebbe impensabile con un approccio tradizionale.
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Come funziona un’architettura Cloud Native?
Un’architettura Cloud Native si basa su componenti distribuiti e orchestrati su infrastrutture cloud, con i microservizi al centro. Questi piccoli moduli indipendenti comunicano tramite API e gestiscono specifiche funzioni, come la gestione utenti o l’elaborazione dati. Ogni microservizio è isolato, permettendo sviluppo, aggiornamenti e scalabilità separati.
La portabilità è garantita dai container, che impacchettano codice e dipendenze in un’unità standard, consentendo ai microservizi di funzionare su qualsiasi infrastruttura. Analogamente a una scatola che contiene tutti gli ingredienti necessari per un piatto, i container preparano il software per l’esecuzione.
L’orchestrazione dei container assicura la loro corretta distribuzione, il monitoraggio - per evitare errori - e la scalabilità automatica, in base alla domanda. Il tutto è supportato dal CI/CD (Continuous Integration/Continuous Delivery), che consente aggiornamenti e distribuzioni rapidi e continui, garantendo alta affidabilità. Questo permette ad aziende come Spotify o Airbnb di rilasciare nuove funzionalità frequentemente, mantenendo la piattaforma stabile anche sotto carichi elevati.
Perché adottare il Cloud Native?
Adottare il Cloud Native permette alle aziende di affrontare le sfide moderne con agilità, resilienza e velocità. La principale motivazione è la capacità di accelerare l’innovazione, consentendo di sviluppare, testare e distribuire rapidamente nuove funzionalità, essenziale in settori dinamici come fintech ed e-commerce.
Un altro vantaggio è la scalabilità automatica, che permette di adattare le risorse alla domanda. Durante eventi ad alto traffico, come ad esempio il Black Friday, le piattaforme di e-commerce possono gestire picchi senza sovradimensionare l’infrastruttura.
La resilienza è un altro fattore cruciale: le applicazioni Cloud Native isolano i guasti in singoli microservizi, evitando interruzioni sistemiche. Ad esempio, Netflix simula guasti con Chaos Monkey per testare la robustezza della sua infrastruttura.
Infine, il modello a consumo ottimizza i costi, facendo pagare solo le risorse effettivamente utilizzate, riducendo gli sprechi e favorendo la crescita graduale, soprattutto per le startup.
Differenza tra cloud e Cloud Native
La differenza tra cloud e Cloud Native risiede principalmente nel modo in cui le applicazioni vengono progettate, sviluppate e gestite, nonché nell'approccio strategico sottostante. Utilizzare il cloud significa sfruttare risorse di calcolo, archiviazione e rete fornite da un provider, come AWS, Azure o Google Cloud. Questo modello è spesso utilizzato per ospitare applicazioni esistenti senza necessariamente modificarle: si parla, in questo caso, di "lift and shift", dove il software viene spostato da un server locale a un ambiente cloud per ridurre i costi o aumentare la disponibilità.
Il Cloud Native, invece, va oltre. Non si limita a trasferire le applicazioni tradizionali nel cloud, ma le ripensa da zero per sfruttare appieno i vantaggi dell’infrastruttura distribuita e scalabile del cloud. Le applicazioni Cloud Native sono modulari, progettate come microservizi contenuti in container e orchestrate tramite strumenti dedicati. Questo le rende più flessibili, scalabili e resilienti rispetto alle applicazioni tradizionali, anche quando queste ultime sono ospitate nel cloud.
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Quali sono i principali strumenti per un ecosistema Cloud Native?
Gli strumenti dell’ecosistema Cloud Native ottimizzano la progettazione, lo sviluppo, il deployment e la gestione delle applicazioni nel cloud. Tra i principali troviamo i container, le piattaforme di orchestrazione, i sistemi di osservabilità e gli strumenti di automazione dei processi di sviluppo.
I container, come Docker, sono fondamentali, poiché offrono un ambiente isolato e portatile che racchiude l’applicazione e le sue dipendenze, permettendo il funzionamento uniforme su qualsiasi infrastruttura. Questo consente agli sviluppatori di creare software che funziona allo stesso modo su laptop e cluster cloud.
La gestione su larga scala dei container è affidata a orchestratori come Kubernetes, che analizzeremo nel dettaglio nel prossimo paragrafo.
L’osservabilità è un elemento altrettanto importante in un ecosistema Cloud Native. Tra gli strumenti troviamo ad esempio Prometheus, che raccoglie metriche dai microservizi, e Grafana, che le visualizza in dashboard. Questo aiuta i team a monitorare la salute dei sistemi e a risolvere i problemi in modo proattivo.
Gli strumenti per il Continuous Integration e Continuous Delivery (CI/CD), come Jenkins e GitLab CI, automatizzano il processo di test e rilascio, riducendo errori e accelerando i cicli di sviluppo. Soluzioni come Terraform, che definisce le risorse cloud tramite codice, e Istio, che ottimizza e protegge la comunicazione tra microservizi, completano il panorama, abilitando il paradigma Cloud Native e fornendo alle aziende una base tecnologica per affrontare il mondo digitale.
Kubernetes e l’orchestrazione dei container nel Cloud Native
Kubernetes è il cuore pulsante dell'orchestrazione dei container nell'ecosistema Cloud Native, progettato per gestire il deployment, il monitoraggio e la scalabilità di applicazioni basate su container in modo automatizzato. In un mondo in cui le applicazioni sono costituite da decine o centinaia di microservizi, Kubernetes offre una piattaforma per coordinare queste unità modulari, garantendo affidabilità e ottimizzazione delle risorse.
Uno degli aspetti più rivoluzionari di Kubernetes è la sua capacità di scalare automaticamente le risorse in base alla domanda. Ad esempio, se durante una prima cinematografica online milioni di utenti accedono contemporaneamente alla piattaforma, Kubernetes può avviare istanze aggiuntive dei microservizi più sollecitati per gestire il carico. Quando il traffico diminuisce, queste istanze vengono terminate per risparmiare risorse e ridurre i costi operativi.
Un’altra funzionalità chiave è il bilanciamento del carico. Kubernetes dirige automaticamente le richieste degli utenti verso i container attivi, evitando sovraccarichi e ottimizzando la distribuzione delle richieste. Questo è particolarmente utile per applicazioni globali, dove il traffico può variare significativamente in base alle regioni geografiche.
L’architettura di Kubernetes si basa su concetti come i pod, che sono le unità minime di esecuzione e possono contenere uno o più container, e i deployment, che definiscono come i pod devono essere creati, aggiornati o eliminati. Attraverso una configurazione dichiarativa, gli sviluppatori indicano lo stato desiderato dell'applicazione, e Kubernetes si occupa di raggiungerlo e mantenerlo, monitorando costantemente lo stato del sistema.
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Quali sono i benefici dei microservizi in un ambiente Cloud Native?
I microservizi, come detto, rappresentano uno degli elementi fondanti di un ambiente Cloud Native, offrendo benefici che trasformano il modo in cui le applicazioni vengono progettate, sviluppate e gestite. L'adozione di un'architettura a microservizi consente di superare i limiti dei sistemi monolitici, offrendo una flessibilità e una scalabilità che si adattano perfettamente alle esigenze del cloud.
Uno dei vantaggi principali dei microservizi è la loro modularità. Ogni microservizio è autonomo e responsabile di una specifica funzione, come la gestione degli ordini o l’autenticazione degli utenti. Questa modularità semplifica lo sviluppo, poiché i team possono lavorare in parallelo su servizi differenti senza dipendenze strette.
Un ulteriore vantaggio è la possibilità di scegliere tecnologie diverse per ogni microservizio. Poiché i microservizi comunicano tra loro tramite API standard, ogni team può utilizzare il linguaggio di programmazione o il database più adatto alle esigenze specifiche del servizio. Questo livello di libertà consente di sfruttare al meglio le innovazioni tecnologiche e di creare soluzioni su misura.
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Come DevOps supporta il Cloud Native?
DevOps è un pilastro fondamentale per il successo delle applicazioni Cloud Native, poiché promuove una cultura di collaborazione tra i team di sviluppo e quelli operativi, abilitando processi automatizzati e continui che si allineano perfettamente con le caratteristiche di scalabilità, modularità e agilità proprie del Cloud Native. Questo approccio non solo riduce il divario tra sviluppo e operations, ma trasforma il modo in cui il software viene creato, distribuito e gestito.
Un esempio pratico del legame tra DevOps e Cloud Native è rappresentato dal già citato Continuous Integration e Continuous Delivery (CI/CD), una pratica che automatizza i test, l'integrazione e il deployment del codice. In un ambiente Cloud Native, dove le applicazioni sono composte da molti microservizi, aggiornare singoli componenti in modo sicuro e rapido è fondamentale. DevOps rende questo possibile grazie a pipeline CI/CD che assicurano che ogni modifica venga testata e distribuita senza interruzioni, permettendo alle aziende di rilasciare nuove funzionalità con una frequenza impensabile nei sistemi tradizionali.
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Cos’è il serverless computing nel contesto Cloud Native?
Il serverless computing, nel contesto Cloud Native, rappresenta un modello di esecuzione in cui gli sviluppatori possono concentrarsi esclusivamente sul codice e sulla logica applicativa, senza preoccuparsi dell'infrastruttura sottostante. Non significa che i server siano assenti, ma che la gestione, la scalabilità e il provisioning di questi sono completamente delegati al provider cloud, rendendoli invisibili agli utenti. Questo approccio si allinea perfettamente alla filosofia Cloud Native, che valorizza l’agilità, l’automazione e l’efficienza.
Nel serverless computing, gli sviluppatori scrivono piccole unità di codice, spesso chiamate funzioni, che vengono eseguite in risposta a eventi. Un esempio tipico potrebbe essere una funzione che si attiva quando un utente carica un'immagine in un'applicazione, ridimensionandola automaticamente per diversi dispositivi. Con servizi come AWS Lambda, Azure Functions o Google Cloud Functions, queste operazioni vengono scalate automaticamente in base alla domanda, senza che il team debba preoccuparsi di dimensionare manualmente l’infrastruttura.
Uno degli aspetti distintivi del serverless è il modello di pagamento basato sull’utilizzo. Le aziende pagano solo per il tempo effettivo di esecuzione delle funzioni, misurato al millisecondo, eliminando i costi fissi associati a server inattivi. Questo è particolarmente vantaggioso per applicazioni con carichi di lavoro intermittenti o imprevedibili.
PER APPROFONDIRE:
Cos’è il serverless computing e quali sono i suoi vantaggi?
Quali sono le sfide di sicurezza nel Cloud Native?
Infine, la questione security è un aspetto del Cloud Native da non trascurare. Le sfide di sicurezza in questo contesto derivano principalmente dalla natura distribuita e dinamica delle applicazioni basate su microservizi, container e serverless. La gestione della superficie di attacco è complessa, poiché ogni componente (microservizio, container, funzione) è un potenziale punto vulnerabile.
La gestione delle configurazioni attraverso codice (Infrastructure as Code) può introdurre errori, esponendo risorse in modo accidentale. La gestione delle identità e dei permessi è fondamentale per evitare accessi non autorizzati, mentre la sicurezza dei container richiede attenzione nell’uso di immagini sicure e aggiornate. La gestione dei log e il monitoraggio distribuito sono critici per rilevare anomalie, ma aumentano la complessità. Infine, la protezione dei dati sensibili è più difficile in ambienti così frammentati, richiedendo crittografia e gestione sicura delle chiavi. Alcune risorse utili che affrontano il tema sono: La Guida alla Cloud Native Security, e gli approfondimenti su DevSecOps e Cloud Security.