La combinazione di soluzioni on premise e su cloud pubblico o privato permette di disegnare ambienti IT ottimali, con benefici in termini di flessibilità, prestazioni e costi. Ecco come e perché implementare l’hybrid cloud.
L’hybrid cloud sta diventando il modello per la gestione dei sistemi informativi preferito dalle nuove aziende digitali.
Secondo Mordor Intelligence, il mercato globale delle soluzioni ibride, stimato 52,16 miliardi di dollari nel 2020, raggiungerà un valore di 145 miliardi di dollari entro il 2026, con un tasso di crescita media annuale pari a 18,73% nel quinquennio 2021-2026. In Italia, il Politecnico di Milano ha calcolato un fatturato di 3,34 miliardi di euro, con un aumento del 21% rispetto al 2019.
La popolarità del paradigma cloud è alimentata da una serie di vantaggi, tra cui la possibilità di combinare tecnologie on premise e in cloud, la scalabilità delle risorse, la flessibilità infrastrutturale, l’ottimizzazione dei costi IT. Oggi il cloud è un tassello fondante della Digital Transformation.
Ma cosa si intende per hybrid cloud e quando conviene? Di seguito cerchiamo di rispondere a queste domande, esplorando i percorsi di adozione, i benefici ottenibili e i progetti di successo.
L’hybrid cloud è un sistema architetturale per la costruzione e la gestione degli ambienti IT, che coniuga almeno due soluzioni di cloud privato e/o pubblico, includendo caratteristiche di portabilità, orchestrazione e automazione dei carichi di lavoro.
Questa definizione ci porta a una seconda domanda: cos’è davvero il private cloud, oggi? In uno stadio iniziale, il termine “cloud privato” coincideva con il concetto di “on premise”, per cui le risorse informative vengono erogate direttamente dal data center aziendale in locale. Oggi invece si considera più ampiamente anche la formula del Virtual & Hosted Private Cloud: gli asset vengono erogati in modalità remota dal fornitore, che riserva all’azienda una porzione dedicata delle proprie infrastrutture.
Sotto il cappello di “cloud pubblico” rientrano invece le soluzioni infrastrutturali e applicative distribuite dal provider, tramite data center di proprietà, come servizio condiviso da più utenti e accessibile tramite Internet. Il cloud pubblico è appannaggio soprattutto di colossi multinazionali come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure, Google Cloud Platform e Alibaba Cloud.
L’opzione private si rivela più efficace per le aziende che hanno la necessità di tutelare informazioni riservate e procedere alla personalizzazione spinta degli ambienti IT. L’alternativa public restituisce alti livelli di flessibilità e scalabilità delle risorse, rivelandosi particolarmente utile per applicazioni soggette a picchi di domanda improvvisi.
PER APPROFONDIRE: Privato, pubblico o ibrido? Guida alla scelta del cloud
L’hybrid cloud ha il merito di combinare tecnologie private e pubbliche, consentendo alle aziende di cogliere le opportunità dei due paradigmi, scegliendo caso per caso, in base alle necessità e alla tipologia di workload.
Scendendo nel dettaglio tecnico, l’hybrid cloud si presenta come un ecosistema informativo che collega e coordina due o più cloud indipendenti, presentando alcune caratteristiche fondamentali:
Se inizialmente l’hybrid cloud era il risultato di una necessità, ovvero garantire l’integrazione e la comunicazione tra il data center on premise aziendale e i nuovi servizi cloud acquistati all’occorrenza, oggi rappresenta una precisa scelta strategica da parte di moltissime organizzazioni.
Di conseguenza, cambiano anche le modalità per la costruzione degli ambienti ibridi. Le risorse private e pubbliche venivano interfacciate tramite soluzioni middleware e collegamenti in modalità remota su una rete privata virtuale. Tuttavia, per assicurare l’interoperabilità degli asset, nonché la movimentazione delle tecnologie e delle informazioni da un cloud all’altro, si richiedevano software di integrazione molto complessi e servizi VPN specifici, forniti dagli stessi public cloud provider all’interno dell’abbonamento.
Attualmente sono le architetture applicative moderne a rappresentare lo strumento principe di integrazione e la garanzia di portabilità. I team di sviluppo infatti adottano tecnologie come microservizi e container che rendono le soluzioni software più “leggere” da spostare e compatibili con qualsiasi infrastruttura.
L’architettura a microservizi infatti permette di progettare le applicazioni come un insieme di unità funzionali indipendenti, che possono essere modificate, richiamate e distribuite singolarmente. La containerizzazione invece inserisce le applicazioni o i microservizi all’interno di istanze virtuali dello spazio utente (container), che vengono trasferite da un cloud all’altro. Dentro al pacchetto, che fornisce un ambiente di esecuzione completo, i software girano senza dipendere dall’hardware (e quindi dal cloud) sottostante.
Le nuove tecniche di progettazione tuttavia rendono il parco applicativo più frammentato e complesso da governare: ecco quindi che tra gli elementi cardine per la costruzione dei nuovi ambienti IT ibridi rientrano le soluzioni di orchestrazione come Kubernetes che permettono di ottimizzare e automatizzare la gestione dei container.
Dopo gli opportuni chiarimenti tecnici, rimangono da esplorare i benefici e le opportunità derivanti dall’hybrid cloud. Il principale vantaggio a cui aspirare è la flessibilità dei sistemi informativi aziendali, con la possibilità di scegliere di volta in volta le soluzioni ottimali (in termini di prestazioni, costi e sicurezza) per la realizzazione dei progetti IT. Il mercato oggi mette a disposizione una miriade di funzionalità applicative e servizi già pronti da cui attingere che, se correttamente combinati, permettono di costruire rapidamente soluzioni su misura, perfettamente aderenti ai requisiti aziendali.
La varietà dei fornitori e delle proposte tecnologiche permette inoltre di ottimizzare le spese: per ogni iniziativa e carico di lavoro, l’azienda sarà libera di scegliere tra soluzioni on premise oppure su cloud pubblico o privato, cercando la massima convenienza economica.
Distribuire l’ambiente IT su più cloud offre dei vantaggi anche in termini di continuità operativa, poiché si può contare sulla disponibilità dei sistemi e dei servizi erogati da diversi fornitori. A questo si aggiunge anche il minor rischio di lock-in, poiché differenziando i provider si elimina la dipendenza tecnologica da un’unica società e si acquista un maggiore potere negoziale.
L’hybrid cloud infine permette di giostrarsi al meglio anche in merito alla sicurezza delle informazioni e dei processi. Per il trattamento di alcune tipologie di dati, particolarmente sensibili e soggette a vincoli più rigidi di compliance normativa, oppure per l’esecuzione di applicazioni considerate business critical, diventa preferibile la gestione all’interno di cloud privati. Per la gestione di carichi di lavoro di minore valore e rischio può convenire invece il ricorso a servizi di public cloud.
Alla luce dei vantaggi sopra citati, l’hybrid cloud si rivela l’alternativa vincente per la maggioranza delle organizzazioni perché permette di cogliere i vantaggi di entrambe le tipologie di cloud, pubblico e privato.
Nell’era della digitalizzazione, la competitività aziendale si gioca sull’efficienza e sull’efficacia delle infrastrutture IT a supporto. Le imprese hanno bisogno di sviluppare ed erogare velocemente servizi digitali a valore, garantendo una disponibilità senza interruzioni e tagliando sulle spese.
Da un lato, il cloud pubblico permette di implementare e scalare rapidamente le risorse secondo necessità, delegare al fornitore gli oneri di gestione e manutenzione del parco IT, scegliere il servizio ottimale dall’immenso portafoglio di tecnologie proposte sul mercato. Dall’altro lato, il cloud privato consente di adempiere anche alle più stringenti normative in termini di tutela e privacy dei dati sensibili, ottemperando alla legislazione nazionale, internazionale e di settore. Inoltre, permette una maggiore personalizzazione delle soluzioni tecnologiche e dei livelli di sicurezza, garantendo solidità e robustezza.
L’hybrid cloud, insomma, amplia il ventaglio delle possibilità sul piano delle architetture e della gestione IT, ma richiede una strategia lungimirante alla base e competenze specializzate. Partendo da un’analisi dell’infrastruttura esistente, serve la capacità di valutare quale tipologia di cloud, offerta e fornitore meglio si adatta alle esigenze aziendali e al carico di lavoro specifico, selezionando le proposte più adatte.
Bisogna essere in grado di pianificare un percorso di trasformazione infrastrutturale e applicativa personalizzato e sul lungo periodo, intercettando le tendenze tecnologiche emergenti. Sono necessarie conoscenze approfondite sulle tecniche moderne e sui nuovi strumenti di sviluppo software, nonché la volontà da parte dei Sistemi Informativi di effettuare un cambio di passo, assumendo un ruolo di orchestrazione e ponendo l’accento sugli aspetti della governance. Affidarsi a un partner esperto sui temi dell’hybrid cloud può rivelarsi l’opzione vincente, perché permette di guidare l’azienda verso le scelte corrette in virtù dei progetti pregressi e del know-how maturato.
Anche la scelta del provider è fondamentale per la buona riuscita delle iniziative e delle strategie di hybrid cloud. Ad esempio, Amazon Web Services offre dei pacchetti di soluzioni che consentono di costruire il proprio ambiente ibrido, che includono risorse hardware, API, strumenti di gestione e migrazione. AWS permette così di semplificare e accelerare i progetti per ampliare il data center aziendale nel cloud, implementare applicazioni di edge computing, sfruttare servizi cloud per l’amministrazione delle risorse in locale. Anche Google sta investendo nell’hybrid cloud come si evince dal lancio di Anthos, una piattaforma che permette di creare, ottimizzare e distribuire rapidamente le applicazioni moderne o legacy all’interno di ambienti pubblici e privati, sfruttando le potenzialità dei container e di Kubernetes.
Insomma, il mercato dell’offerta è maturo e sempre più aziende hanno già scelto l’alternativa dell’hybrid cloud per la gestione degli ecosistemi IT, traendone vantaggio.
Passando in rassegna alcuni esempi, Johnson & Johnson ha implementato un'architettura ottimizzata che permette di connettere i data center locali alle risorse in cloud di AWS; Coca-Cola European Partners (CCEP) si è rivolta a Ibm per portare in cloud alcuni carichi di lavoro mission-critical, andando a costruire un ambiente ibrido; PayPal ha costruito un ecosistema multi cloud, riunendo soluzioni private e pubbliche di diversi fornitori, tra cui Google Cloud.
Non mancano i casi di successo nazionali. Due esempi sono la multinazionale chimico-farmaceutica Zambon e la società Caleffi Hydronic Solutions, specializzata nella produzione di componentistica per impianti di riscaldamento, condizionamento e idrosanitari. Entrambi i progetti hanno visto la combinazione dei servizi cloud offerti da Google Cloud Platform e Alibaba Cloud per gestire le applicazioni e i siti web aziendali rispettivamente in Occidente e in Oriente, uniformando i processi e centralizzando la governance.
Concludendo, la possibilità di scelta e la flessibilità sono criteri che sempre più in futuro guideranno le aziende verso l’hybrid cloud: l’importante è partire con il piede giusto, potendo contare su competenza specializzate e il supporto di un partner fidato.